Fichi.
Il vento soffia a tratti, due minuti di frescura, 10 minuti di assoluta calura. Lo sguardo si sposta verso il piazzale assolato quando lo vedo. Bello, tronfio come il re dell’estate, u fico. Mi viene in mente che sarebbe bello immaginare un’ unica pianta di fico lì sempre lì durante gli accadimenti della vita, un testimone muto ma costantemente presente. In realtà i fichi sono più di uno.
Fico #1, fico e ficazzana.
Il fico numero uno sono in realtà due, un albero di fichi bianchi e uno di ficazzane. Non conosco il nome italico e non sono interessato a scoprirlo. I due alberi in tempi diversi producevano frutti dolci e dolcissimi nel giardino della mia nonna paterna.
I rami erano molto grandi e coprivano una grande zona, li sotto era come entrare in una zona riservata e magica del giardino. Da una parte il muro di confine, a sinistra e a destra limoni, dietro quasi schiacciato dalla chioma dei fichi un piccolo mandarino.
Chi aveva progettato il giardino non doveva essere un gran disegnatore, non poteva immaginare che gli alberi gli sarebbero sopravvissuti e sarebbero sopravvissuti ai suoi figli crescendo liberi e quasi mai potati.
Fico #2, vicino la saia.
Il secondo fico è certamente quello da cui ho mangiato più frutti (finora), e come me quasi tutti i miei parenti materni. All’inizio era al centro del piccolo campo di mio nonno materno, poi varie e tristi vicende contrattuali lo trasformarono in un albero di confine.
Qui la chioma era notevole, ma a colpire a primo impatto era il grande tronco su cui era possibile arrampicarsi. Il nonno aveva messo sostegni per reggere i suoi grandi rami. Degli enormi e schifosissimi gechi neri impaurivano noi bambini e ci facevano sentire degli eroi impavidi ogni volta che ci arrampicavamo.
In questo periodo quando il caldo si faceva insopportabile la saia lo abbeverava abbondantissimamente. Raccogliere fichi richiedeva collaborazione e complicità da parte degli adulti che raccoglievano per noi picciriddi i frutti migliori.
Fico #3, al paese.
In campagna lo zio aveva qualche piede di fico. Uno in particolare era il preferito di mio padre. L’albero stava vicino il magazzino accanto la casa.
Dopo il fico il terreno iniziava a declinare verso la vigna i cui tralci erano a qualche metro dai rami. Un fico sentinella, anche lui al confine. Ogni mattina papà si aggirava per il giardino fino a trovarsi sotto i suoi rami a raccogliere fichi. Questa attività era una sorta di rito, veniva compiuta quotidianamente con scrupolo devozionale.
I fichi crescono e cadono, si devono mangiare; è quasi un obbligo morale.
Fico #4, quello che ho appena fotografato.
Questo è il fico più giovane, prima del 2000 non esisteva, prima del 2007 non l’avevo mai visto. Di certo non avrei mai immaginato di mangiare i suoi frutti mentre mangiavo i frutti dei primi.
Questi frutti li mangiano anche le mie bimbe che, come facevo io alla loro età, sbucciano meticolosamente i suoi frutti e probabilmente come me fra qualche anno li mangeranno interi in un sol boccone. Giusto il gesto di aprirli per vedere il loro interno dolcissimo.
La vita mi porta da un fico ad un altro, chissà quali fichi mi riserverà il futuro.